martedì 14 maggio 2013

E se il “discepolo amato” fosse Làzzaro di Betània?

Il discepolo anonimo sceglie di seguìre Gesù.

«Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguìrono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguìvano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?". Disse loro: "Venìte e vedrete". Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguìto, era Andrea, fratello di Simon Pietro»
(1,35-40).
 
 
La resurrezione di Làzzaro.

«Un certo Làzzaro di Betània, il villaggio di Marìa e di Marta sua sorella, era malato. Marìa era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Làzzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato".
All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". Gesù amava Marta e sua sorella e Làzzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui".
Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Làzzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: "Làzzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!".
Quando Gesù arrivò, trovò Làzzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Marìa a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Marìa invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo".
Dette queste parole, andò a chiamare Marìa, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". Udìto questo, ella si alzò sùbito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Marìa alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Marìa giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?".
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". Detto questo, gridò a gran voce: "Làzzaro, vieni fuori!". Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare"»
(11,1-44).


Làzzaro presente all’unzione di Betània.

«Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Marìa allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo»
(12,1-3).


Il discepolo amato nell’ùltima céna.

«Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: "In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà". I discepoli si guardavano l'un l'altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?". Rispose Gesù: "È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò". E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota»
(13,21-26).
  

Il discepolo anonimo nel cortile della dimòra del sommo sacerdote.

«Intanto Simon Pietro seguìva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro»
(18,15-16).


Al discepolo amato ai piedi della croce Gesù affìda sua madre.

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Marìa madre di Clèopa e Marìa di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé»
(19,25-27).


Il discepolo amato la mattina della resurrezione.

«Il primo giorno della settimana, Marìa di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti ‘e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguìva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa»
(20,1-10).

 
Luca conosce Marìa e Marta, ma non il loro fratello Làzzaro

«Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Marìa, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: "Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma il Signore le rispose: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Marìa ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta"»
(Lc. 10,38-42).


Il discepolo amato presente al miracolo della pésca e autore del Vangelo

«Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figlî di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
[…]
«Pietro si voltò e vide che li seguìva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: "Signore, chi è che ti tradisce?". Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: "Signore, che cosa sarà di lui?". Gesù gli rispose: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu sèguimi". Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?". Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera»
(21,1-8.20-24).


E se il “discepolo amato” fosse Làzzaro di Betània? : Una stimolante ipòtesi sull’identità di questo misterioso personaggio.

Nel “Vangelo di Giovanni” incontriamo una figura dai caratteri decisamente singolari, che riveste, soprattutto nella seconda parte del Vangelo, un ruolo particolarmente significativo. Si tratta del personaggio, dai tratti enigmatici, del “discepolo amato”, che la tradizione ecclesiale e una parte consistente degli studiosi, nonostante qualche incertezza, identificano con l’apostolo Giovanni, figlio di Zebedèo, e che la testimonianza interna del testo (cf. 21,20.24) ìndica come l’autore stesso del Vangelo.
In forma esplicita incontriamo il “discepolo amato” in quattro brani del quarto Vangelo: 13,21-26; 19,25-27; 20,1-10; 21,4-8.20-23.
È nel corso dell’ultima cena che facciamo la nostra conoscenza con questo discepolo, allorché su richiesta di Pietro, questi, chinato il capo sul petto di Gesù, chiese al Maestro chi fosse il traditore (13,21-26). Lo incontriamo di nuovo nel contesto particolarmente drammatico del Calvario, quando allo stesso discepolo viene affidata da Cristo morente la propria madre (19,25-27). Dopo la scena della crocifissione, il “discepolo amato” fa sentire la sua presenza anche nella mattina della Resurrezione quando, avvertito dalla Maddalèna della tomba trovata vuota, vi accorre sùbito precedendo l’apostolo Pietro ed è il primo a credere alla resurrezione (20,1-10). E ancora, lo ritroviamo nel quadro post-pasquale dell’apparizione di Cristo sul lago di Tiberìade. Anche in questo caso fu il primo a riconoscere il Maestro risorto. In questa stessa circostanza egli ricevette da Gesù una misteriosa attestazione profetica intorno al proprio destino (21,4-8.20-23).
In questi due ultimi brani il “discepolo amato” mostra una singolare capacità di comprensione del significato autentico degli eventi in cui si trova coinvolto. Nel primo caso è il primo a credere alla resurrezione del Signore («Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette», 20,8). Nel secondo caso è il primo tra i discepoli a riconoscere il Gesù risorto nel personaggio che si rivolge loro dalla riva del mare di Tiberìade («Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!"», 21,7).
È poi molto diffusa tra gli studiosi l’opinione argomentata che anche in altri brani del quarto Vangelo s’incontri la figura del “discepolo amato”, indicàto in forma indiretta con allocuzioni generiche, come “l’altro discepolo”, o semplicemente “il discepolo” (cf. 18,15-16; 20,1-10; 21,24), oppure ancòra viene riconosciuto come uno dei componenti di due distinte coppie di “due discepoli” che incontriamo in due diversi brani dello stesso Vangelo (cf. 1,35-40; 21,1-3).
L’ipòtesi più diffusa tra gli studiosi riconduce l’uso delle espressioni alternative su richiamate a una diversa tradizione, riferita allo stesso personaggio del “discepolo amato”, anch’essa confluita nel testo finale del “Vangelo di Giovanni”.
A un esame diretto dei testi dove compaiono le espressioni in questione non è possibile trarre conclusioni univoche. Si va certamente da casi ove l’identificazione con il “discepolo amato” è evidente o, quantomeno, molto plausibile, ad altri dove tale identificazione non appare certa.
In ogni caso la tradizione ecclesiale generalmente identifica la figura del “discepolo amato”, comprese le ricorrenze ove è contrassegnato con designazioni più generiche (con l’ovvia eccezione di 21,1-3), con l’apostolo Giovanni.
Come già in precedenza accennato, il testo di 21,24, dove la coincidenza tra il “discepolo amato” e “il discepolo” è sostanzialmente certa, ci fornisce l’informazione che l’autore del quarto Vangelo è da identificarsi proprio nel “discepolo amato”.
Se consideriamo il brano di 21,20-24, dove si conclude la scena della triplice attestazione di amore che Pietro rivolge a Gesù, allorché entrambi si rendono conto di essere seguìti dal “discepolo amato”, possiamo verificare che il narratore qui tiene a precisare che questi è la stessa persona del discepolo che «che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: "Signore, chi è che ti tradisce?"». Più avanti, al v. 24, si precisa che «Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte» e questo discepolo non può essere altri che “quel discepolo che Gesù amava” che, al precedente v. 20, seguìva Pietro e lo stesso Gesù.
Secondo dunque questa esplicita testimonianza interna allo stesso testo, l’autore del quarto Vangelo è proprio il “discepolo amato”. Se poi il “discepolo amato” sia effettivamente da identificare con l’apostolo Giovanni, ciò verrebbe naturalmente a confermare la tradizionale attribuzione allo stesso apostolo della paternità del Vangelo.
In effetti sono molto consistenti le ragioni che inducono a considerare plausibile il riconoscimento della paternità giovannea del Vangelo. Queste possono essere sostanzialmente riassunte nei seguenti punti.
È molto probabile che questo discepolo debba appartenere al gruppo dei Dodici. La sua presenza all’ùltima céna (13,21-26; 21,20), confermerebbe tale ipòtesi, se si tiene conto che la concorde testimonianza dei sinottici fa pensare che alla cena avrebbero preso parte soltanto gli apostoli.
Giovanni apostolo appare nel Vangelo come una delle figure verso cui Gesù ha mostrato una particolare predilezione. Sono in particolare tre i discepoli verso cui Gesù indirizza un’attenzione distintiva, cioè Pietro e per i due fratelli Giacomo e Giovanni, figlî di Zebedèo. Pietro non può essere il “discepolo amato”, perché egli viene spesso ricordato per nome accanto a questo discepolo prediletto (cf. 13,23-24; 20,2; 21,20); nemmeno Giacomo può esser preso in considerazione, poiché questi venne martirizzato verso il 44 e.v. («In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni»: At. 12,1-2), quindi in età ancòra giovane, mentre il “discepolo amato” sarebbe giunto, secondo 21,20-23, a un’età assai avanzata. Resta quindi il solo Giovanni, figlio di Zebedèo.
Tale argomento viene confortato dal fatto che nel quarto Vangelo non si nomina mai Giovanni, come pure non si fa il nome del fratello Giacomo; questo silenzio sui due fratelli non può essere casuale, ma intenzionale.
Ciò nonostante non manca chi formula ipòtesi diverse in ordine all’identità del “discepolo amato”. Il punto di partenza di tali dubbî è rappresentato dal brano di 18,15-16.
In questo testo il “discepolo amato” è presentato come una figura ben introdotta negli ambienti del sommo sacerdote («Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote »), cosa che mal si concilia con l’identità dell’apostolo Giovanni, pescatore e originario della lontana Galilèa.
Prende le mosse da qui la convinzione di varie correnti esegetiche della non coincidenza tra le due figure del “discepolo amato” e dell’apostolo Giovanni, con la conseguente diversa attribuzione della paternità del quarto Vangelo.
Numerose sono poi le ipòtesi formulate circa la precisa identità di tale discepolo. Tra queste mi sembra decisamente affascinante quella che riconosce nel “discepolo amato” i tratti di un’altra figura che appare anch’essa nel solo “Vangelo di Giovanni”, quella di Làzzaro di Betània, l’amico di Gesù, che Gesù stesso resuscitò nell’episodio di 11,1-44.
In effetti numerosi indizî, presenti nel testo dello stesso Vangelo, convergono nell’indurre a pensare che i due personaggî, presenti solo nel “Vangelo di Giovanni”, in effetti coincidano: Làzzaro e l’anonimo discepolo amato non sarebbero altro che la stessa persona.
Nei Vangeli sinottici non si trova alcun cenno a un discepolo particolarmente amato, né viene mai menzionato Làzzaro di Betània. Tra i Sinottici, Luca in verità conosce le sorelle di Làzzaro, Marta e Marìa (cf. Lc. 10,38-42), ma tace totalmente su Làzzaro.
Nel quarto Vangelo sia Làzzaro che il discepolo amato (con la sola eccezione di 1,35-40) appaiono sulla scena narrativa nella seconda parte dell’opera. Nel capitolo 11, dove è raccontata la sua resurrezione, viene più volte posto in evidenza la peculiare relazione di amicizia che legava Gesù con Làzzaro. Il primo riferimento si ha al v. 3, dove sono le due sorelle di Làzzaro, Marìa e Marta, ad avvertire Gesù della sua malattia, sottolineando la speciale relazione d’amore tra Gesù e Làzzaro («Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che “tu ami” è malato"»: 11,3). Al successivo v. 5 è lo stesso narratore a evidenziare il vincolo d’amore intercorrente tra Gesù e i tre fratelli di Betània («Gesù “amava” Marta e sua sorella e Làzzaro»: 11,5). E ancòra al v. 36 sono addirittura i Giudei, i notabili del luogo accorsi per condolersi con le sorelle Marìa e Marta per la morte di Làzzaro, a riconoscere il caratteristico rapporto che legava lui a Gesù («Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!"»: 11,36). In nessun altro luogo del “Vangelo di Giovanni” si fa menzione di Làzzaro, con la sola eccezione di 12,1-2, dove Gesù appare òspite dei tre fratelli di Betània e Làzzaro è uno dei commensali. Sia dal “Vangelo di Giovanni”, che dall’unica citazione di quello di Luca, Gesù appare come un òspite ricorrente della loro casa. È presumibile dunque che Gesù, nel corso delle sue missioni d’insegnamento itinerante in Giudèa, in particolare nei suoi viaggî da e per Gerusalemme fosse abitualmente òspite della loro famiglia.
La famiglia di Làzzaro, Marìa e Marta, molto probabilmente, doveva godere di una condizione economica tutto sommato benestante e beneficiava di una certa considerazione sociale, come testimonia il fatto che in occasione della morte di Làzzaro numerosi Giudei si fossero recati da Marta e Marìa per consolarle (11,19). Questa rilevanza sociale della famiglia rende poi plausibile l’ipòtesi di poter riconoscere Làzzaro nell’anonimo discepolo di 18,15-16. Risulta, infatti, molto più plausibile pensare che un giudèo di Betània (villaggio che distava da Gerusalemme circa tre chilometri) socialmente riconosciuto, avesse maggiore possibilità di accedere alla dimora del Sommo Sacerdote, rispetto a un anonimo pescatore galileo qual era in realtà l’apostolo Giovanni.
Anche la scena nella quale si ritiene di poter riconoscere la scelta del “discepolo amato” di porsi alla sequela di Gesù (1,35-40), appare molto più verosimile se applicata a Làzzaro, non solo perché non contrasterebbe con i racconti sinottici della vocazione di Giovanni figlio di Zebedèo. Infatti lo svolgersi della scena non in Galilèa, ma in Giudèa, in una località omonima al proprio villaggio d’origine, la comunque non distante Bethània oltre il Giordano, rende plausibilmente ipotizzabile che Làzzaro abbia potuto abbastanza agevolmente far esperienza della proposta penitenziale del Battista per poi passere alla sequela del nuovo maestro proveniente con i suoi discepoli dalla Galilèa. È opportuno inoltre osservare che il racconto di 1,35-40 non è in sé un “racconto di chiamata” quanto un’“assunzione di una determinazione”. Non è, infatti, Gesù a invitare i due discepoli a seguìrlo (uno di loro, per altro, era Andrea probabilmente già destinatario, secondo la lezione sinottica, di una precedente chiamata in Galilèa). Sono piuttosto i due discepoli che, incuriositi, scelgono di seguìre Gesù.
Quest’ipòtesi risulta anche alquanto compatibile con la figura che pian piano viene emergendo di Làzzaro, personaggio ben inserito nella società Giudaica, con una buona preparazione culturale e protagonista di un personale itinerario di fede nel giudaismo dell’epoca. Una personalità, dunque, interessata a conoscere il modo migliore per fare la volontà del Signore, ma anche coinvolta con la tradizione scribale giudaica che lo rende ampiamente compatibile con la personalità del quarto evangelista, figura che si distingue per un personale itinerario teologico che ne fa un caso unico e del tutto singolare nell’intero Secondo Testamento.
Va poi fatta una riflessione attenta sui due episodî di 20,1-10 e 21,4-8, dove il “discepolo amato” in entrambi i casi è il primo a capire la straordinarietà di quanto sta accadendo. Nel primo caso è il primo a intuìre l’evento meraviglioso della resurrezione ed è il primo a credere. Nel secondo caso è il primo a riconoscere il Gesù risorto. Da semplice componente del séguito di Gesù, il “discepolo amato” diviene dunque un protagonista attivo dei fatti salvifici, manifestando un’inedita capacità di lettura e interpretazione degli eventi. Occorre ricordare che nel capitolo precedente, allo stesso discepolo viene affidata la madre di Gesù, Marìa di Nàzareth (19,25-27), quest’evento instaura una relazione piena di maternità, da un lato, e di figliolanza, dall’altro.
Il discepolo, ai piedi della croce, inizia così un’esperienza antropologica di figliolanza nei confronti di Marìa. Un’esperienza che lo rende destinatario della cura materna di Marìa che gli consente di operare una maturazione profonda della propria dimensione di fede. Ponendosi alla scuola di Marìa, ne mutua l’atteggiamento di apertura al mistero e lo stile di costante ricerca della volontà divina (ricordiamoci dell’episodio delle nozze di Cana, dove Marìa mostra una singolare capacità di intuìre ciò che era giusto fare in quella circostanza [cf. 2,1-11]), che costituiscono, per ogni credente, le basi fondamentali per incarnare autenticamente la dimensione profetica dell’esperienza di fede.
Questa riflessione sulla singolare predisposizione del “discepolo amato” a intuìre il senso autentico sul piano della fede di quanto gli accade intorno risulta poi particolarmente rafforzata se si identificano i due personaggî del “discepolo amato” e di Làzzaro di Betània. Se effettivamente questo discepolo non fosse altri che Làzzaro, bisogna considerare che ci troviamo di fronte a personaggio che ha fatto esperienza della “resurrezione”, che grazie all’intervento di Gesù, ha superato la morte.
La confluenza dunque nella stessa persona di due elementi di effettiva eccezionalità, la singolare relazione di filialità con Marìa di Nàzareth e l’esperienza della “resurrezione” fanno di Làzzaro di Betània, “discepolo amato”, una figura di grande rilevanza spirituale che pone in evidenza nei discepoli di Gesù il significato rivestito dalle due dimensioni dell’apertura al mistero e della ricerca dell’autentica volontà divina. Questo riveste un’importanza ancora maggiore se si tien conto che Làzzaro di Betània (discepolo amato) non è presentato dal “Vangelo di Giovanni” come un discepolo che ha lasciato tutto, cioè la sua abituale condizione di vita, per seguìre Gesù nella sua missione d’insegnamento itinerante, quanto come una figura che, con il linguaggio di oggi, potremmo definire di tipo laicale. Una figura che sceglie, sì, di seguire Gesù, come scelta di fondo della vita, come il tesoro autentico per il quale vale la pena rinunciare a tutto, ma rimanendo dentro il mondo, dentro le sue contraddizioni e ivi testimoniare la novità di Gesù. Una figura esemplare della perizia laicale che è richiesta oggi ai credenti in Gesù, sulla scuola di Marìa: saper maneggiare le realtà temporali per mostrare agli uomini di ogni epoca e di ogni cultura come scoprire nella vicenda dell’umanità i segni del Regno di Dio che ha fatto irruzione nella storia.
 
 
Vico Equense, domenica 16 dicembre 2012
(Sergio Sbragia) 

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